VENTENNALE CENTRO STUDI SAN GIORGIO

VENTENNALE CENTRO STUDI SAN GIORGIO


Il Centro Studi Scout “San Giorgio” opera da vent’anni sul territorio di Taranto con lo scopo di raccogliere, conservare e valorizzare tutto quanto attiene alla memoria storica delle Associazioni Scout che vivono o hanno vissuto sul territorio regionale e la documentazione inerente allo scautismo.

Il contenuto delle raccolte del Centro Studi  è articolato in:

  • Biblioteca:  circa milleduecento volumi sullo scautismo e guidismo (storia, metodo, pedagogia, religione), circa 300 volumi fra : storia cittadina, narrativa per ragazzi, narrativa per adulti.
  • Emeroteca: costituita dalla raccolta di tutte le testate associative nazionali  e da buona parte delle riviste regionali; significativa è la raccolta di testate di Gruppi locali.
  • Archivio:  Comprende documenti della vita associativa a livello nazionale ed internazionale, ma soprattutto a livello regionale e locale. Di particolare valore alcuni fondi privati appartenenti a personalità di rilievo dello scautismo e guidismo locale.

Inoltre è presente un Museo delle uniformi che contiene diverse uniformi scaut, collezioni di distintivi e di foulard, targhe, bandiere, e cimeli vari.

Il Centro Studi offre i seguenti servizi:

  • Fornisce materiali e supporto per ricerche e studi sullo scautismo e guidismo;
  • Fornisce dati utili, copie di articoli, dati numerici, notizie, ecc. per l’elaborazione di tesi di laurea;
  • Elabora studi e fornisce bibliografie in relazione ai materiali in deposito;

Pubblica studi ed elaborati sullo scautismo e su attività svolte dal Centro stesso (seminari, convegni, raccolte dati, cataloghi, ecc.);

  • Offre la possibilità di consultare o prendere in prestito volumi e/o riviste.

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In occasione del ventennale dalla sua fondazione, il Centro Studi Scout San Giorgio ha organizzato per il 13 e il 14 ottobre una serie di attività celebrative in sede presso la “Parrocchia Madonna delle Grazie” a Taranto.

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Sabato 13 ottobre, alle ore 17.00, alla presenza dell’assistente personale di Monsignor Filippo Santoro, si è inaugurata la mostra del Centro Studi.

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Un percorso ben organizzato nella storia tra diverse bancarelle con pubblicazioni scaut esposte, oltre dei manichini con le uniformi dell’Asci e dell’Agi, collezioni di francobolli, di fibbie di cinte e diversi pannelli storici sulla storia dello Scautismo Italiano e tarantino. Al termine della mostra vi è stato poi il taglio della torta.

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Domenica 14 ottobre, alle 09.30 si è tenuto il Convegno “Il concetto di esca di B.P. nel tempo dell’emergenza educativa”, tra i cui relatori oltre il Capo Scout dell’Agesci Ferri Cormio e l‘incaricato nazionale del Centro Ricerche e Documentazioni Agesci Fra Carletto Muratore, figurava anche il Presidente Capo Scaut dell’Assoraider Michele Moscati. Moderatore Francesco Casula.

Al convegno erano presenti oltre i membri del Centro Studi, diversi scaut dell’Agesci, una delegazione del CNGEI di Nardò e una folta rappresentanza delle Sezioni Scaut Assoraider di Taranto 1 e Taranto 2.

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L’intervento di Fra Carletto Muratore era incentrato maggiormente sui moderni aspetti tecnici dell’archiviazione e catalogazione dei documenti storici attraverso i pc e la rete, infatti oggi conta più lo scaffale del libro, o meglio se un libro non è presente negli archivi on line allora non sarà accessibile, proprio per questo la “giusta esca” per favorire il successo dei vari Centri Studi è quello di modernizzarsi. E’ stato un intervento appassionato su come sia possibile fare oggi ricerca e quanto sia più veloce rispetto al passato e quindi quanto sia importante stare al passo coi tempi e scansionare i vari documenti e reperti scout.

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Il secondo intervento è stato quello di Ferri Cormio, Capo Scout dell’Agesci, il suo intervento ha ripercorso la storia dello scautismo cattolico in Italia, dello scioglimento durante il regime fascista, fino ad arrivare ai nostri giorni, ove a suo parere l’emergenza educativa più grave è quella della crisi della “comunità” e dei suoi valori. La comunità e le famiglie quali basi dell’intera società vivono un momento di grande crisi. Per affrontare tali problemi occorre sapientemente utilizzare la tecnica del discernimento e l’Agesci ha individuato come “Esca” da proporre ai ragazzi il concetto di “Sogno”…anche se lui personalmente preferisce parlare di “Desiderio”. A tal proposito si è brevemente soffermato sul significato etimologico della parola desiderio:  il termine deriva dal latino e risulta composto dalla preposizione de- che in latino ha sempre un’accezione negativa e dal termine sidus che significa, letteralmente, stella. Desiderare significa, quindi, letteralmente, “mancanza di stelle”, nel senso di “avvertire la mancanza delle stelle”, di quei buoni presagi, dei buoni auspici e quindi per estensione questo verbo ha assunto anche l’accezione corrente, intesa come percezione di una mancanza e, di conseguenza, come sentimento di ricerca appassionata.

Quindi per estensione occorre portare i ragazzi di oggi a desiderare…i valori morali che oggi stanno venendo a mancare come stelle nella società contemporanea.

Infine ha preso la parola il Presidente Capo Scaut dell’Assoraider Michele Moscati del quale riportiamo integralmente il suo intervento:

Il tema scelta per la riflessione di quest’oggi è assai interessante e soprattutto molto complesso perché, se ad una prima superficiale lettura sembrerebbe rifarsi a discussioni classiche della metodologia scautistica, immediatamente dopo ci si accorge che esso in realtà avoca a sé una serie di questioni che ci impegnano sia nelle vesti di capi scaut ma anche di educatori, genitori, osservatori o  semplicemente  protagonisti diretti di un “tempo” senza dubbio complicato, in cui lo scautismo al pari delle altre realtà educative si trova dinnanzi alla sfida più difficile ed anzi molto spesso finisce per essere l’unico punto di riferimento e ciò in particolare quando si pensa ai casi in cui ad essere in crisi é la famiglia stessa o, altro aspetto preoccupante viene meno il fattore scuola perché purtroppo un altro paradosso del presente é l’abbandono scolastico e, ancor peggio l’assenza di un progetto lavorativo, un vuoto di futuro che spinge tantissimi ragazzi contemporanei semplicemente a stare a penzoloni sulla quotidianità in uno stato di apatia e pigrizia. Negli ultimi anni solo a causa di determinati episodi portati alla ribalta dai mass media e social, ci rendiamo conto dell’esistenza di un emergenza educativa e che invece affonda le sue radici in momenti e periodi molto più lontani dove la società era distratta e non si è resa conto del germogliare del problema.

Se si vuole andare a cercare delle soluzioni occorre obbligatoriamente chiederci da dove è nato il problema.

La nostra società dalla nascita dallo scautismo ad oggi è profondamente cambiata da come era a come è oggi.

In passato l’educazione e la formazione erano affidate principalmente alla famiglia poi alla scuola, alla chiesa e alla stessa società che implicitamente censurava comportamenti ritenuti socialmente scorretti.

Nella famiglia l’educazione principalmente era affidata alla madre e il padre assumeva all’occorrenza un ruolo autoritario, la maggior parte delle famiglie si affidavano completamente agli insegnamenti dei “maestri” che li aiutavano non solo nel ruolo di insegnate di materie ma anche di vita così come la chiesa.

Altro cambiamento sociale avuto negli ultimi 50 anni riguarda il mondo del lavoro, il ragazzo in età adolescenziale veniva affidato dalla famiglia al “maestro” per la maggior parte si trattava dell’artigiano che oltre a fargli sviluppare l’abilità manuale e ad insegnare un mestiere contribuiva alla sua educazione dandogli delle regole e responsabilizzando il ragazzo man mano nella sua crescita ed inoltre aveva la possibilità del confronto diretto con la società avendo rapporti quotidiani con persone a lui sconosciute.

Da qui si comprende che l’eta della formazione era molto più ristretta rispetto ad oggi in cui a quanto pare la formazione è sempre in essere.

Fin dalla tenera età i bambini avevano l’opportunità del confronto con i propri coetanei tramite il gioco che veniva svolto per la maggior parte in strada o nel cortile di casa dove al massimo dell’esasperazione del confronto si arrivava alla scazzottata e dove il gruppo, o meglio la banda, era la stessa che rimetteva la pace tra i contendenti senza la necessità di ricorrere all’intervento dei genitori. Quindi era un continuo allenamento al confronto e all’assunzione di responsabilità che ha portato crescendo a potersi confrontare su questioni sociali in maniera diretta e senza trascurare l’ascolto del pensiero degli altri, quindi un continuo arricchimento di idee e pensieri.

Il tempo e la società hanno portato sostanziali cambiamenti sia dal punto di vista scolastico, lavorativo e soprattutto familiare.

Sembra che gli adulti abbiano perso il patrimonio dei valori che erano la base dell’educazione e della formazione dei ragazzi.

Oggi le famiglie con i molteplici impegni personali dei suoi componenti sembra che non riescano a darsi un progetto educativo per i propri figli e non si intende quello di tentare di far arrivare alla laurea ogni figlio ma bensì un progetto di crescita continua che tocchi i vari stati della crescita, fanciullo, bambino, adolescente e alla fine uomo; in tutti questi passaggi della crescita l’individuo deve avere degli obiettivi da raggiungere, obiettivi che compongono come in puzzle l’essenza dell’educazione.

La scuola con il passare del tempo è stata depauperata del compito di educatore morale e non solo didattico, gli insegnanti hanno perso la loro autorevolezza e forse anche la vocazione dell’insegnamento tanto da non riuscire ad essere collaboratori delle famiglie nella formazione dei ragazzi. Quando qualche insegnante prova ad essere di supporto alle famiglie molte volte si trova a combattere contro dei mulini a vento senza raggiungere nessun risultato.

Dunque abbiamo da una parte i genitori che credono di aiutare i figli concedendo false libertà, pronti sempre a dare e ancor di più a nascondere, giustificare e tollerare comportamenti scorretti, perfino al limite della legalità, e dall’altra parte insegnanti e formatori bloccati e mortificati nel non riuscire a trovare soluzioni. I ragazzi in questo quadro sembra che ne escano vincitori, invece sono vittime di un modello formativo da copertina, cioè vuoto di valori, principi e futuro, ma ricco di falsi miti e sofferenza.

Il fondatore dello scautismo Baden Powell, non si è mai proposto come un teorico della formazione proponendo una formazione da copertina, bensì sulla pratica continua della sua idea di scautismo, e questo è alla base della validità del suo metodo ancora attuale nonostante i suoi oltre 100 anni di vita.

Nei molteplici scritti di B.P. troviamo istruzione, educazione, autoeducazione che definiscono in maniera chiara e precisa l’identità del capo per poi passare allo stesso modo all’educazione del ragazzo.

Una delle leve fondamentali dello scautismo è l’autoeducazione che si trasmette a partire dall’esempio e facendo diventare il ragazzo protagonista della propria crescita, stimolandolo a imparare da se, così che tutto ciò che gli rimarrà impresso lo guiderà in seguito nella vita.

L’educatore scaut deve”vedere il peggio, ma guardare al meglio”, è questo lo spirito sostanziale del metodo educativo, il capo crede nei suoi ragazzi e nelle loro potenzialità anche se nascoste, e in questo caso deve scoprirle per promuoverne lo sviluppo.

Fondamentalmente l’educatore deve conoscere a fondo il ragazzo e saper rispondere alle sue esigenze accogliendole, elaborandole e programmare il suo percorso formativo ed educativo. Significa scovare e riconoscere le sue attitudini naturali e stimolarlo a perseguirle con coraggio, costanza e nel rispetto delle regole (Legge Scaut e Promessa).

Il capo non ha doti paranormali o investigative, ma semplicemente attraverso l’ascolto e giocando il ruolo di fratello maggiore, deve riuscire a capire quali siano le attività preferite dei suoi ragazzi, e deve concedere loro l’opportunità di poterle svolgere, con il rischio che possano anche sbagliare. Famosa è la seguente definizione che B.P. da dell’educatore scaut: “ con il termine fratello maggiore intendo una persona che si sappia mettere su un piano di cameratismo con i suoi ragazzi, entrando egli stesso nei loro giochi e nelle loro risate, conquistando con ciò la loro confidenza e mettendosi in quella posizione che è essenziale per insegnare, cioè conducendoli, con il proprio esempio nella giusta direzione. E necessario che il capo si ponga nella posizione di un fratello maggiore, cioè che veda le cose dal punto di vista dei ragazzi e sappia animare,guidare e infondere entusiasmo nella giusta direzione”.

Qual è quindi il ruolo di educatore scaut nell’emergenza educativa?

Ritengo, che se B.P., è riuscito ad infondere un sistema educativo valido è perché riusciva a conoscere i ragazzi e le loro aspettative, partendo dal diretto confronto con loro, assumendo il ruolo di fratello magiore. Allo stesso tempo ritengo che se anche oggi il metodo scaut sia valido e funzionante, non basti. Oggi occorre andare oltre il rapporto diretto con il ragazzo, perché il capo deve conoscere la realtà sociale e famigliare dove vive, la scuola che frequenta e farsi un idea della validità degli insegnamenti scolastici. In passato, era molto più semplice raggiungere gli obiettivi prefissati, in quanto per la maggior parte dei casi era il ragazzo stesso a varcare per la prima volta la soglia della sede scaut e quindi si aveva la possibilità di un contatto diretto con l’educando. Oggi, normalmente il ragazzo è spinto dai propri genitori ad andare agli scaut , e badate bene ad andare e non ad essere uno scaut. Da qui inizia il duro lavoro del capo, far comprendere ai genitori che lo scautismo non è una palestra o una piscina, ma bensì un percorso formativo ed uno stile di vita, complementare alla famiglia e alla scuola, e solo con la collaborazione, la conoscenza e la condivisione degli ideali, si può costruire il futuro e formare il “BUON CITTADINO DEL DOMANI”.

In realtà la vera emergenza educativa con cui siamo a contatto, è prorpio quella derivante dai genitori, più che dai ragazzi, nel senso che mai uno scaut è stato autore di comportamenti scorretti noti a tutti attraverso i media, e tantomeno mai uno scaut si sognerebbe di assumere tali comportamenti in sede scaut o con altri scaut. Quindi posso asserire con profonda convinzione, che la ricchezza degli ideali derivanti dalla Promessa e dalla Legge Scaut, sono forse gli unici mezzi validi che abbiamo a disposizione e che il Capo Scaut è tra i pochi modelli di comportamento a cui il ragazzo può aspirare.

Molto spesso ci sentiamo dire con tono di accusa da parte dei genitori, che i loro figli si fidino più del loro capo che di loro, o che addirittura accettino con meno peso i richiami per comportamenti sbagliati da parte del loro capo rispetto a loro. In realtà questo avviene, non perché siamo più belli o simpatici, ma semplicemente perché alla base il ragazzo sa di avere la nostra piena fiducia e che se anche commette un errore, questo gli servirà per crescere a patto che impari a trarne frutto rimediando a quanto fatto/detto.

Fin qui tutto molto semplice, ci dedichiamo giocando a dei ragazzi esseri semplici e spontanei, i problemi iniziano a sorgere quando si avvicina il traguardo di essere uomo.

Uno dei primi grossi problemi, è accompagnarli nella società. Già nel 1965, anni in cui il fermento del mondo giovanile era in pieno sviluppo, Aldo Marzot intuì la necessità di completare, chiudere, il percorso scaut dei giovani, per accompagnarli nella società e rispettare l’obiettivo principale dello scautismo ideato da Baden Powell: diventare dei buoni cittadini.

Il termine del percorso scaut tradizionale in quegli anni, infatti, risultava incapace di favorire il buon inserimento del ragazzo-scaut a pieno titolo nel mondo del lavoro, nella società civile. Questo ‘anello mancante’ venne colmato con un metodo che coniugava le attività tradizionali all’acquisizione di abilità di livello semi-professionale.

Il Raiderismo, questa la definizione di questo metodo innovativo, dedicato ad una quarta branca di adulti scaut, aveva questo obiettivo: curare lo sviluppo di abilità e competenze proprie del ragazzo in ambiente protetto per accompagnarlo all’esordio nella società, migliorandone le possibilità di riuscita e successo, e vincolandolo ancor più fedelmente ai valori dello scautismo. A distanza di 5 decenni, alcuni dei primi Raider terminano la propria carriera lavorativa svolgendo ancora l’attività intrapresa durante l’esperienza in quarta branca, la branca Raider appunto.

Ci siamo interrogati più volte, e continuiamo a farlo, su quanto il nostro metodo sia attuale, se ancora siamo capaci di vivere uno scautismo giovane al servizio dei giovani. Ci siamo chiesti se le condizioni della società attuale possano essere in qualche modo assimilabili alla situazione del 1965: sicuramente si. Il periodo di crisi economica, il boom tecnologico e l’incompleta e lenta risposta delle istituzioni formative alle mutate necessità dei ragazzi, di fatto non consentono loro un facile e rapido inserimento nella società con particolare attenzione al mondo del lavoro. Le modalità comunicative, le competenze richieste, richiedono nuovi metodi formativi, nuove occasioni di crescita personale e professionale, lo sviluppo di competenze “non convenzionali” non trovano risposta nella società odierna. Con modestia e fedeltà allo scautismo originario, continuiamo a cercare di restare al passo dei tempi, con l’obiettivo originario di creare il buon cittadino. Con un metodo mutato nei modi, diventato progressivamente più dinamico, ma che rimane saldamente ancorato alla necessità di tirare fuori le abilità e competenze dei ragazzi, di aiutarli a svilupparle e di farne delle competenze semi-professionali con l’ambizioso obiettivo di spingerli verso una realizzazione personale, oggi non comune.

Ma la nostra non è un’azione formativa, un corso a pagamento o una scuola professionalizzante. La nostra azione prosegue immutata da 50 anni perché il Raiderismo non è un sistema, una norma o un protocollo: è una regola di vita in cui crediamo profondamente, che nella sua Legge e nel suo motto esalta la un cammino impegnativo verso la libertà da sé stessi. Noi vogliamo Osare, vogliamo pensare ed agire in grande, vogliamo accompagnare i ragazzi in un volo d’aquila che gli consenta di superare i propri limiti, concretamente e non solo nelle chiacchiere “da post” come oggi abitudine. La legge Raider guida il ragazzo verso la ricerca dell’essenziale, del bello della vita, di una spiritualità profonda, appagante, rasserenante che lo forma indirizzandolo alla ricerca dell’essenziale della vita. Con questi presupposti, si acquisisce la serenità necessaria per potersi concentrare e dedicarsi, senza interferenze, allo sviluppo delle proprie competenze ed abilità. Con l’obiettivo di creare dei buoni cittadini, come ci chiede Baden Powell, ma che possano orgogliosamente essere felici.

Bibliografia: La relazione tra capo – ragazzo negli scritti di B.P. di Paola Dal Toso

Al termine dell’intervento di Moscati, con l’auspicio che tali momenti di confronto inter associativo possano aumentare, il convegno si è concluso con la Scaut Maria Lepore che ha consegnato ai relatori delle targhe ricordo.

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